Novembre 2021 – Tardigrada

 

Novembre non batte alla fine aprile tutto sommato, almeno questa volta, ma come previsto fin dai primi annunci delle uscite che l’avrebbero poi composto va quasi a pareggiare il gradimento che il vostro caro vecchio staff ha avuto modo di riservare ai quattro magnifici del quarto mese del 2021 con altrettanti dischi amati da quasi tutti i redattori durante lo scorso (i primi due dei quali proprio da tutti, nella fattispecie, e i due restanti rispettivamente da più di metà e una non trascurabile metà di noi). E dato che a breve sarà ormai il momento di tirare le somme e guardarsi indietro sull’annata intera, si potrebbe anche aggiungere di come ironia della sorte abbia voluto che le quattro label che li hanno rilasciati, a confronto, siano rimaste praticamente le stesse: gli svizzeri Ungfell, che giusto per un pelo (un enorme pelo chiamato Fyrnask) non arrivarono a conquistare la copertina dell’articolo mensile di sette volte fa, con il loro “Es Grauet” rilasciato da Eisenwald, sono oggi sfidati dai connazionali e compagni di etichetta Tardigrada del magnifico e dirompente “Vom Bruch Bis Zur Freiheit” (il quale, contrariamente, la palma di disco del mese di novembre se l’è strappata alla grande); i poco fa citati Fyrnask, poi, che con “VII – Kenoma” restano invece facilmente e tuttora per svariati di noi più ancora che il disco di aprile quello dell’anno tutto, sono là fuori per Ván Records esattamente come gli Stormkeep della tormenta di maestosità “Tales Of Othertime” che segue seconda in lista con una quasi-standing ovation generale. Kunsthall Produktionen, l’etichetta storica entro le cui mura si autoproduce Wintherr i suoi Paysage D’Hiver, che ci aveva donato “Geister” distribuito dalle mani della parente Prophecy Productions, si è invece consegnata la staffetta in novembre con Lupus Lounge (il ramo più oscuro della già oscura -ma maggiormente multiforme- compagnia discografica tedesca) per rilasciare l’ultimo capitolo di una trilogia transilvana che, per pura fortuna che questa volta ci ha visto giusto, non è rimasta inconclusa alla morte prematura di Negru: “Zău” dei Negură Bunget chiude così l’articolo di oggi con più di una nomina, ma non prima che Season Of Mist faccia dare il cambio ai suoi Vreid (“Wild North West”) con i Der Weg Einer Freiheit di “Noktvrn”, anch’esso celebrato giusto settimana scorsa durante la terzultima puntata della stagione in corso de La Gente Deve Sapere.
Iniziamo dunque con il disco più grigio, toccante ed introspettivo che potete aver ascoltato durante lo scorso mese: la strage emotiva di sua moderna maestà “Vom Bruch Bis Zur Freiheit”.

 

 

[…] “Vom Bruch Bis Zur Freiheit” è il classico eppure tremendamente non comune disco che, tanto potente e sincero com’è, non sempre si vorrebbe dover trovare: il disco splendidamente in grado di rovinare una giornata per tutto quel che con malaugurata grazia provoca all’interno, creando nubi grigie di catarsi ancora da espiare sopra e dentro la testa di avventori doverosamente lasciati attoniti da ciò che una band come i Tardigrada al suo secondo album è in grado di regalare, confermandosi nel farlo tra i più maturi e talentuosi esponenti in assoluto di un modo unico di plasmare e veicolare Black Metal introspettivo, impalpabile eppure melodico, atmosferico e realmente sensibile quanto forse su simili coordinate lo erano stati solo i Nyktalgia e -ciononostante- altrettanto violento in termini poetici ma conferito di un sound design senza pari d’analogia non casualmente in questo scritto evitata del tutto; erede non contento di un certo Depressive Black verso derive inesplorate e aliene al padre, dotato insomma della resistenza eterna del cuoio e della rassegnazione infranta in gola di una generazione dal futuro corrotto e perduto per sempre tra le pieghe di un tempo che scorre e scivola senza aspettare uomo che sia […].”

[Leggi di più nella recensione che lo elegge disco della settimana, qui.]

Quella che pervade i quattro blocchi di “Vom Bruch Bis Zur Freiheit” è la sensazione incombente e dilaniante di una tragedia imminente, oscillante in spazi ampi e incorrotti dal sentore drammatico e svuotante, che in un filo che ipnotico e denso conduce inevitabilmente fino all’espiazione stringente tradotta in una liberazione che avvolge i resti dell’avvenuta catastrofe interiore. In dialogo diretto con il suo predecessore, quel magistrale “Emotionale Ödnis” che senza preamboli aveva proiettato i Tardigrada fra le formazioni dalle ambizioni atmosferiche più talentuose ed eleganti del panorama, il secondo capitolo degli elvetici vibra delle frequenze di uno spazio sonoro in continua eco, in cui le note tonde e gravi del basso rincorrono quell’incedere maestoso e risonante dove ogni passaggio riluce di uno splendore lunare dai riflessi strazianti e magici.”

Secondo disco per gli svizzeri Tardigrada che, anche solo a giudicare dalla tracklist, continuano ed espandono il percorso intrapreso con il precedente “Emotionale Ödnis”. “Vom Bruch Bis Zur Freiheit” non rischia tuttavia assolutamente di risultare un doppione del non più ultimo lavoro e si pregia di una sua personalità, di una naturale evoluzione del sound della band che propone un Black Metal atmosferico in questo nuovo album meno istintivo e decisamente dotato di un songwriting più ragionato rispetto all’opera di ormai cique anni fa. Se da un lato alcuni frangenti risultano in confronto meno viscerali, dall’altro le composizioni godono di una migliore progressione e di tutta una quantità di dettagli e deviazioni sonore che rendono ancor più appagante ogni singolo ascolto.”

Sarà anche una frase di comodo ripetuta ogni volta che c’è da mandare giù a forza un mattone composto da sessantenni con problemi di ego, ma per la seconda prova dei giovani svizzeri c’è davvero bisogno di più ascolti per entrarvi appieno: non per una durata comunque impegnativa (la quale dona tuttavia un senso di epica quantomai consono all’opera) bensì per un carico emotivo difficilmente processabile in pochi spin, veicolato da strutture dilatate e decorate da armonie malinconiche da seguire nel loro accidentato sentiero tra i boschi, irti di pericoli quali una frana in up-tempo o il richiamo di una disperata voce in lontananza – fino al burrone che segna la conclusione del toccante viaggio tra vita, morte e resurrezione, di longevità e resistenza al tempo tiranno pari a quella di un misero ed invincibile tardigrado.”

“Dopo lo splendido esordio “Emotionale Ödnis”, le aspettative per un nuovo album degli svizzeri Tardigrada erano decisamente altissime: puntualmente, il trio di Zurigo non ha deluso regalandoci un altro album di superbo Black Metal atmosferico e malinconico, in quello che potremmo definire come una sorta di confine molto sottile fra l’Atmospheric e il Depressive Black Metal, ma senza mai sconfinare eccessivamente dall’una o l’altra parte. Un perfetto gioco di equilibrio in cui contribuiscono anche le due linee vocali degli urlatori: una più acuta e disperata, l’altra più roca e soffocante, che ben si alternano nell’arco delle composizioni mentre le chitarre disegnano i loro passaggi eterei e malinconici, ma senza mai dimenticare di donare quel tipico furore sulfureo nelle parti più tirate. Ottima riconferma.”

Il secondo lavoro dell’armata guidata dal gran maestro lingua di veleno e dal suo fidato set di incantatori; ovvero gli Stormkeep di “Tales Of Othertime”, tomo Ván Records del mese e amore sicuro per tutti coloro che il proprio freddo, fiero e trionfale Black Metal medievale dagli anfratti di un mondo altro ed oltre il nostro lo vogliono sinfonico, maestoso e dall’impatto di una bufera di forze malvagie. Magia nera alle porte della cittadella!

[…] Le visioni si rinnovano e prendono forma sempre nuova, all’ascolto di “Tales Of Othertime”, nella mente che è in fondo il solo ed unico luogo in cui viene creata una identità a cui rispondere: quello stesso posto da cui, col più vario filtro delle più grandi menti succedutesi, proviene la totalità della grande arte di cui siamo fortunati testimoni per la forza di un’idea. In questo caso, quella di un universo medievale così come presumibilmente visto da chi lo abitava, tra diavolerie nell’aria, creature e fatti oggi bollati come mitici, e forze del male in agguato dietro ogni angolo; ma soprattutto pieno zeppo di poteri che superano ogni nostra comprensione e possibile conoscenza. [Un album] totalmente individuale tra nomi d’arte improbabilmente lunghi, tronfi di un’ambizione narrativa più grande di qualunque vita terrena ed un secondo capitolo d’assoluta importanza nonché bravura magistrale. Si dice in fondo che chi semini vento raccolga tempesta: e vale forse la pena aggiungere che chi questa la cavalca con la maestria di tripudiante, freddo e fiero Black Metal medievale proveniente dai sotterranei di un’altra e non più distinta età, riesca a portare gelo e fiamme sulla terra intera.”

[Leggi di più nella recensione che lo elegge disco della settimana, qui.]

Non vi è tempo per rimpiangere le secche e taglienti rincorse di “Galdrum” che più di una vittima avevano mietuto soltanto un anno fa, perché gli statunitensi Stormkeep in pochissimo tempo assestano la definitiva prova del loro valore dimostrando una maturazione precocemente raggiunta: involandosi sulle ali ampie e sfavillanti di un approccio splendidamente sinfonico, “Tales Of Othertime” si fa forte di una produzione più moderna e uno stile dall’indubbia freschezza che non ha il minimo timore di giocare con registri dalla verve volutamente nostalgica e vintage, ribaltandoli però a proprio piacimento in un’opera che mutua con eclettismo le armi più affilate, sanguigne ed estreme con quelle dell’Heavy Metal e del cosiddetto Dungeon Synth. I sei nuovi brani vanno a formare una narrazione dal coinvolgimento irresistibile e dal taglio melodico strabordante sorretto da arrangiamenti superbamente curati, brillando come gioielli finemente intagliati e gelosamente custoditi sotto cappe cangianti e svolazzanti dalla foggia arcana, e che incoronano gli Stormkeep come araldi di un magico escapismo d’altri tempi.”

I racconti di un tempo altro messi in scena dagli Stormkeep traggono vita da un sound design finalmente on point in quanto a concretezza, ed in special modo da una fanciullesca ricerca di spensierato escapismo che grida U.S.A. anche quando calata in contesti tematici di matrice europea (Obsequiae docet). Concentrarsi con fare analitico su oggettive forze o debolezze di “Tales Of Othertime”, per quanto legittimo, è una pratica da svolgere con cognizione di causa e soltanto dopo aver goduto di intrecci ed aperture melodiche realmente impressionanti, costruiti con un occhio di riguardo verso il classicismo ottantiano e la resa finale a svedesissime tinte blu; un’epoca lontana e mitica come quella narrata dal collettivo, al secondo round nel giro che conta e tuttavia già ben saldo ai vertici della catena alimentare nordamericana.”

“Proporre un ottimo Medieval Black Metal non è affatto facile come potrebbe sembrare, perché il rischio di incorrere in quei classici e stucchevoli cliché di questo sotto-sotto genere, è alquanto elevato. Devono saperlo bene gli statunitensi Stormkeep, che dopo il già valido “Galdrum” dello scorso anno danno alle stampe un ottimo album di Black Metal tutto medievale e sinfonico, dove non mancano i classici intermezzi di Dungeon Synth (qualche cliché resta duro a morire anche tra gli interpreti migliori, evidentemente), suonato benissimo e con una produzione forse fin troppo pulita, ma di sicuro impatto nel portare l’ascoltatore in tempi oscuri, antichi o in un qualche mondo fantasy (la copertina da sola è già un valido biglietto di sola andata). Da segnalare inoltre la sempre eccellente prova canora di Jake Rogers (di fama Caladan Brood, oltre che Gallowbraid), capace di innalzare l’epicità del disco nei momenti di tensione massima con la sua voce pulita.”

La notte incanalata, riverita e celebrata nel “Noktvrn” dei tedeschi Der Weg Einer Freiheit, terzo album di fila per la label francese ma quinto a tutto tondo per la band che con esso viaggia emotivamente ancora oltre i precedenti e stellari risultati in regni musicali che osano ora essere spesso anche parecchio distanti dalle composizioni a cui i quattro avevano abituato nei due precedenti dischi. Ve ne parliamo accoratamente in tre:

[…] E come alla fine di ogni notte, l’albeggiare nitido della più attesa ed auspicata novità arriva anche in casa Der Weg Einer Freiheit tramite […] differenze in una scrittura purpurea che ha tanto del fantasticare ad occhi aperti quanto del sonnambulismo violento e, soprattutto, delle recondite potenzialità espressive del quasi-sveglio. Sfaccettato oltre ogni precedente prova in studio ed ancor più ricco di una emotività dolcemente travolgente, “Noktvrn” è un disco più di apertura che non di chiusura, eppure capace di far male impietoso fino alle soglie dell’oscurità, finché il levante non si rischiara maestoso e solenne completamente all’orizzonte. Solo allora il giorno ha finalmente quella carità mancata nel buio e può fare prezioso regalo di quel riposo ristoratore, di quella quiete fruttuosa che la notte in persona, lenta tortura per gli infelici e più veloce e beata parentesi per i cuori sereni, ha fino a quel momento così tirannicamente negato.”

[Leggi di più nella recensione che lo elegge disco della settimana, qui.]

La notte e gli stati d’animo contrastanti e sfumati che si sovrappongono confusamente nel torpore del buio sono i temi attorno al quale ruota il quinto album dei Der Weg Einer Freiheit, che invero flettono il loro suono ormai ben distintivo su colori e toni le cui variazioni soffuse e stratificate dipingono con espressività e raffinatezza le distorsioni cupe, le paure improvvise e le solitarie riflessioni proprie delle ore più fosche della giornata. L’incedere di “Noktvrn” mette da parte le fitte progressioni neoclassiche assestandosi su un piglio tale inteso in senso più lato, che sgrava quella compattezza asfissiante che era stata caratteristica distintiva di “Stellar” e “Finisterre” in favore di brani che respirano a pieni polmoni i movimenti più propriamente chiaroscurali della mano di Nikita Kamprad ed esplora soluzioni nuove, inaspettate, che rivelano peculiarità fino ad oggi sconosciute della band tedesca.”

Quinto disco per i tedeschi Der Weg Einer Freiheit, band in esponenziale crescita artistica che continua a sorprendere uscita dopo uscita, al contrario di altri connazionali che sfortunatamente ristagnano nei loro amati quattro arrangiamenti. “Noktvrn”, al contrario, sorprende positivamente introducendo sonorità mai sentite finora dal gruppo, posizionandosi in luoghi mentali tra il sognante e l’etereo che ben si sposano con la veemenza estrema già apprezzata in passato e in particolare nel corso del precedente “Finisterre”. L’ascolto non è immediato perchè è necessario metabolizzare con molta calma tutte le nuove sfaccettature al quale non si è abituati; non a caso il primo impatto con “Noktvrn” non è stato esattamente dei migliori, ma la bellezza cristallina anche solo della conclusiva “Haven” spinge continuamente a riascoltare il tutto e alla fine il risultato arriva esattamente come deve, senza scorciatoie, permettendo all’ascoltatore di comprendere ed apprezzare appieno questo nuovo gioiellino teutonico.”

In un soffio di vita nella nebbia biancastra ricolma di luce su uno sfondo inafferrabile, siamo giunti all’ultima nomina riservata alla conclusione della trilogia dedicata a tutte le peculiarità delle terre transilvane nonché al viaggio dei Negură Bunget: “Zău”, fuori per Prophecy, non chiude un cerchio e ne apre se mai un altro d’importanza, oltre a far dolorosamente capire quanto ancora la band avrebbe potuto esplorare e regalare.

[…] Molto altro vi sarebbe stato dopo la conclusione della trilogia transilvana, e questo è davvero chiaro all’ascolto di un disco come “Zău”: un lavoro autentico con ogni sua complicazione e necessaria imperfezione (e che di queste tuttavia si nutre e gode come quasi fosse un allineamento sfuggito ai suoi diretti interpreti) nato da e fatto di dolore, di uno strappo improvviso, imprevisto ed ingiustificato e che nonostante ciò trova la sua ragion d’essere proprio nella sua fine, in ciò che questa svela, lascia alla posterità e tramanda […]. Quando in futuro osserveremo infatti un paesaggio in noi prima ancora che fuori rassomigliare quelli di “Tău”, del grandissimo “Zi” e ancor di più di “Zău”, non ci sarà nulla di strano se sarà abitato e preceduto da quelle ombre che abbiamo scovato anche in “Obrăzar” e “Baciul Moșneag” – saranno quelle che volevano essere animate, libere e vive, che così come nella fiaba di Andersen volevano essere uomo e vi sono riuscite. Quelle insomma di chi ha scritto versi, visto e pensato a suo modo e grazie al modo di altri prima di lui, anche per noi; beato perché ha avuto questa possibilità rarissima ed effimera di parteciparvi, di donare qualcosa che lui solo poteva vedere come e dove nessun altro poteva senza invece ricevere soltanto come le anime sterili, cercando, vivendo nello spirito, regalandosi, ma soprattutto significando.”

[Leggi di più nella recensione che lo elegge disco della settimana, qui.]

“Zău” non è un epitaffio, non è un tributo, non è il testamento di una band inevitabile scioltasi, ma è la naturale e necessaria chiusura di una spira circolare in continua e solitaria evoluzione dal 1996 ad oggi. Con soluzioni che attingono tanto dalla concezione radicatamente acustica e folcloristica di “Tău” quanto con moderazione dall’eclettismo ricco di contrasti di “Zi”, il capitolo conclusivo della trilogia transilvana amalgama come creta grezza tracce sporcate da un suono pastoso che annette e modella fra loro sezioni intrise di movimenti sabbiosi e ventate celestiali: una via altra, al contempo più eterea e trascendente quanto riecheggiante i naturali suoni di una Transilvania la cui visione variopinta e profonda nessuno saprà mai più rappresentare con la passione, la limpidezza e l’estro dei Negură Bunget.”

In chiusura non possiamo né vogliamo elencare tutte le ragioni maggiormente pratiche, anche numeriche e solo secondariamente qualitative per cui gli immancabili Dauþuz del comunque riuscito “Vom Schwarzen Schmied” (fuori per Amor Fati Productions), i redivivi Warloghe di “Three Angled Void” (Northern Heritage Records), o i Dold Vorde Ens Navn di zio Vicotnik (ricordate quel gioiellino di “Gjengangere I Hjertets Mørke” di due anni fa?) con “Mørkere” (anch’essi Prophecy Productions / Lupus Lounge) sono rimasti oggi più esplicitamente esclusi – ma possiamo consigliarveli ugualmente perché (per altrettante e spesso anche speculari motivazioni) sono più che degni di una scoperta. Così come lo è una delle nostre uscite preferite dell’intero novembre sfortunatamente -ma sensatamente- avvenuta su formato EP: “Dark Italian Art” (Avantgarde Music, al solito), nuovo manifesto dei rinnovati nostrani Selvans. O del nostrano solista Selvans e la sua band. Comunque la vogliate dire, qualcosa per cui non vediamo l’ora sia il momento di una replica su full-length.
Trovate dunque del tempo anche per loro, ammesso ve ne avanzi dai quattro che si fregiano di essere i meritevoli capolista di oggi, prima che il finire di dicembre e i Funeral Mist sconvolgano tutto. L’hanno già fatto? Beh…

 

Matteo “Theo” Damiani

Precedente Pagan Storm News: 10/12 - 16/12 Successivo Funeral Mist - "Deiform" (2021)